Brano: [...]i fà, mi rivolsi a mia madre, non perché lei avesse dei risparmii, ma per avere qualche consiglio. Difatti mi consigliò di farne richiesta all'unico parente, mi rivolsi a lui, ed a titolo di prestito mi feci anticipare lire 15 che spesi per tutto l'occorrente, con una cassetta vecchia che mia madre si fece dare [d]al droghiere dove facevamo la spesa, e così con quella cassetta costruii alla meglio il famoso bancariello di ciabattino. Ebbe inizio il lavoro, il mio propagandista fu il nostro portiere, un vecchio, con la moglie piú vecchia di lui: poveretto, viveva anche lui nella piú squallida miseria, spesse volte mia madre gli scendeva qualche residuo, e così facemmo che o rutto porta o sano (1).
Il primo mio lavoro fu di riparare gratis un paio di ciabatte vecchie della portiera, che non sapevo da che punto incominciare, però la propaganda fece il suo effetto, ed i clienti aumentavano giorno per giorno, e i guadagni con soddisfazione venivano consegnati a mia madre, che mi baciava con tanta effusione, e si rallegrava di aver un figlio d'oro,[...]
[...]istallammo in casa di due sorelle di mia madre, suore zia Peppa e zia Filomena, in attesa di stabilirci, forse ad Avellino. Ed infatti dopo quattrocinque giorni, partimmo io e mio padre alla volta di Avellino, pregando la sorella di mio padre, zia Angelarosa, il marito zio Sabino e zio Sabatino (che abitava alla casa del Notaio Titomanlio padre in via Beneventana) pregando questi parenti venirci in aiuto, anche a titolo di prestito, per iniziare il lavoro. Ma intanto, un poco perché le loro case non andavano bene, un poco per farci assumere una certa responsabilità, pregarono il compare Fusco perché c'improntasse qualche cosa, per iniziare il lavoro.
Qui entriamo nella terza fase, e potrei dire « dall'ago al milione »..
Verso la fine di agosto, sempre del medesimo anno, il compare Fusco consegnò a mio padre 8 coppi da lire 5 cadauno di bronzo, cioè in tutto lire 40 (ed a questo proposito, in cuor mio non è mancata la riconoscenza verso i1 compare Fusco) che furono le prime fondamenta,
e l'inizio basillare del mio lavoro.
Con lire 40, che avevano quel valore a quell'epoca, comprammo un carrettino e un somarello, mezzo malandato, non vispo come il somarello che avevamo prima di emigrare in Francia. Fittammo un basso di due vani, una p[...]
[...]tta per questo trasloco e che tu l'ultimo.
Fuori i Platani, e propriamente di fronte al nuovo Ospedale, vi era una fabbrica di vetro soffiato, ossia vetro ordinario chiamato comunemente niretti e carrafoni. Questa fabrica [era] gestita da Luigi
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Masullo, vecchia conoscenza di mio padre, il quale ci accordò un credito che non doveva superare le lire 100, credito che veniva estinto appena venduta la merce, ripigliando l'altro. Il lavoro procedeva benino, e si arrivava fino alla provincia di Foggia. Io mi sentivo umiliato guidare quel carretto, ché quando era carico mi toccavo seguirlo a piedi. Non solo. Ma per le salite mi toccavo a tirare, perché il povero somarello non ce la faceva. Eppure ero felice. Per le discese, salivo a cavallo e cantavo sempre, specie quando si avvicinava l'ora del pasto alla sera. In quell'epoca in tutte le taverne si mangiava a pasto, il mezzogiorno e la sera, e si aveva per ogni pasto insalata verde, maccheroni, o pasta e fagioli, baccalà o carne, formaggio, pane e vino senza limiti. Ogni pasto c[...]
[...]rtavo il nome del padre, e mi voleva molto bene, andiedi a prendere servizio, giustificandomi verso i clienti che ero stato poco bene. La sera tornò lo zio Sabino da Napoli con l'ultimo treno di mezzanotte, disse: — Buona sera —, a cui risposi; ma non mi disse altro. Diede alcune disposizioni ,a mio zio Gavino, che funzionava sempre da cuoco, e si ritirò. Fui quella sera un poco contrariato per .il suo atteggiamento ancora severo, e pensando che il lavoro di pacificazione l'avrebbe preparato la zia Angelarosa sua moglie, andiedi a riposare per qualche ora nella stanzetta su una tavola, l'unica camera mia da letto, per diversi anni; camera da letto che da giorno funzionava da sala da pranzo, e la sera la tavola funzionava da letto: stanzetta umida, perché terra piena, e il sole si vedeva a scacchi. Quella vita durò per circa tre anni, e tutta quell'umidità fu la causa farmi perdere in pochi anni uno per uno tutti í denti. Passarono dei giorni, mi riappaciai (e con me, anche i miei) con zio Sabina. Lettere dalla fidanzata Vicenzina venivano tutt[...]
[...], partimmo alla volta di Avellino alle ore diciannove per arrivare alle ore ventiquattro circa, con una fame da lupi. La mia povera madre ci aspettava, e ci cucinò alla svelta dei maccheroni e un uovo. Preparai le mie cose, e dopo due giorni arrivò il vagone di merce nuova e bellissima, malgrado la sicurezza di mio zio Sabino che io non avrei avuto mai il piacere di avere un vagone di merce con un credito (a quei tempi colossali) di lire 3.600.
Il lavoro ebbe inizio, mio padre lavorava giorno e notte per i mercati viciniori, Atripalda compreso, avrei voluto accompagnare mio padre col carretto, ma non volli farlo, non per il lavoro, né per ver
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gogna di farlo, (perché il lavoro onesto, qualunque specie di lavoro, anche umiliante non mi aveva fatto mai impressione); ma per non dare adito alle persone che mi avevano sempre invidiato, dopo il mio matrimonio, perché non potevano rendersene ragione come io ero stato capace di apparentare con una delle prime famiglie di Montefusco. Presi un garzone e lo misi al servizio di mio padre.
Si lavorava benino, e si sbarcava alla men peggio il lunario. Fu venduto primo vagone di merce, molto prima del previsto. I'l mio capitale iniziale, al netto di interessi e delle spese generali, da lire 500 sali a lire 900, le cambiali con l[...]
[...] — Aspettate, e vedrete che quel giovane, (si alludeva a me) per la sua abilità nella vita, farà progresso e non gli mancherà mai nulla. Passarono 7 mesi, e già i preliminari di pace da parte di zio Sabino (segnatamente l'amico suo intimo Compare Fusco) si avvicinarono a me per persuadermi a fare la pace, toccando il mio debole, la moglie di zio Sabino, la buona zia Angelarosa, sorella di mio padre. Ma io non volevo più saperne. Avevo saputo che il lavoro del buffet era fortemente aumentato, e malgrado avessero preso servizio due camerieri una cameriera, una sguattera, oltre il cuoco, non potevano arrivare, e tutti rubavano. Ebbi pietà di loro e pensando anche quanto avevano fatto per me, creandomi una famiglia, finii per accettare, e tranne mio padre che seguitava il suo mestiere, e mia madre che con la cameriera vigilava cinque camere mobiliate nel palazzo Alvino, che avevano nove ferrovieri a pensione, io, mia moglie e le mie sorelle, ci riunimmo con zio Sabino e zia Angelarosa. Per ragioni di economia, cambiammo casa. Io e mia moglie due c[...]
[...] del buffet si avviavano ad un lieve miglioramento, e in quell'anno mio zio Sabino ricevette dal Brasile da un suo cognato, marito della sorella, una rimessa di lire 2.800 con preghiera di comprarci una casetta, perché il loro progetto era quello di vdlersi rimpatriare con la famiglia. Questa rimessa fu di un gran sollievo, perché mio zio Sabino, profittando ohe vi era una pianta disponibile (l'attuale fabricato) alla ferrovia, pensò di iniziare il lavoro, e costruire un fabricato, composto di dodici vani, oltre i scantinati. Si iniziarono i lavori, vennero altre rimesse dal Brasile fino a raggiungere la somma di lire 8.500. La casa fu ultimata, e con l'appaltatore Maiali padre fu stabilito che la resta dell'importo del fabricato venisse pagata in tre annualità. Mio zio Sabino e mia zia Angelarosa si stabilirono nel nuovo fabricato, e segnatamente nella camera attuale n. 8 col balcone prospiciente sul piazzale della stazione, ed il resto delle camere per uso di albergo. Io, Vincenzina mia moglie e i due bambini Amato e Sabino ci trasferimmo al[...]
[...]rmire. Ne avevano il diritto, perché mio zio doveva a loro, se si era costruito la casa. Intanto il mio dubbio incominciava a rodermi il cervello, pensando che questi nipoti, due donne e un maschio, giovanotti, potevano farmi dare lo sgambetto, per piazzarsi loro con lo zio, e io con moglie e due figli potevo trovarmi sul lastrico. Affidai il mio destino alle preghiere, ed una forza occulta mi fu di sprone: diventai dinamico, instancabile, e con il lavoro enorme che si era venuto a creare si aveva bisogno di aiuto, di altro personale, e naturalmente mio zio Sabino cercò utilizzare i suoi parenti, che tornati dal Brasile erano diventati tanti parassiti, non sapevano e non volevano far niente. Mio zio Sabino, col suo occhio clinico, guardava la situazione, e lui stesso vedeva la differenza che cassava fra me e loro: io che abbracciavo con passione tutti i disagi, il lavoro, i sagrificii, e loro, apatici, pensavano a mangiare, bere e dormire. E naturalmente, col mio lavoro, con le mie privazioni di sonno, di divertimento, di riposo, e con lo sprone di mia zia Angelarosa verso il marito (con questo vi è un antico detto, che bisogna essere sempre il parente della Regina e non _del Re), feci breccia nell'animo di zio Sabino, diventando il suo beniamino, e non ebbe lui né il coraggio, né la malvagità di cambiare quell'affetto sincero verso di me.
Intanto però mio zio Sahino cercava una soluzione per liberarsi di cinque persone adulti, che da diversi mesi erano a su[...]
[...]e; piena di sacrificii e piena di responsabilità. Fu necessario trasferirmi dal palazzo Alvino alla casa da poco fabricata, e precisamente nella camera n. 8 abitata dal defunto zio Sabino, e alla stanzetta attigua n. 7 si trasferì la zia Angelarosa, con i miei due figli Amato e Sabino, mentre nel basso, dove attualmente esiste la trattoria di Melella Giordano, abitava mio padre, mia madre, e le mie due sorelle, tornate da S. Giorgio del Sannio.
Il lavoro del buffet era di molto aumentato: poco per volta pagai tutti i debiti lasciati dal mio povero zio, fino all'ultimo centesimo, perché non volevo che si parlasse male di mio zio defunto. Posso garantirvi che la mia felicità era completa, lavoravo con la mia povera moglie Vincenzina senza limiti.
Nel novembre del 1909 avvenne un forte diluvione nella provincia di Salerno, producendo fortissimi danni, con la caduta di un ponte ferroviario e con la distruzione di parecchi chilometri della ferrovia. E proprio in quell'epoca vi doveva essere un forte passaggio di truppe che dovevano prepararsi per[...]
[...] novembre del 1909 avvenne un forte diluvione nella provincia di Salerno, producendo fortissimi danni, con la caduta di un ponte ferroviario e con la distruzione di parecchi chilometri della ferrovia. E proprio in quell'epoca vi doveva essere un forte passaggio di truppe che dovevano prepararsi per la Libia, e tutte queste truppe dovettero passare per molti giorni per Avellino, finché non fosse riattivata la ferrovia nel Salernitano. Descrivervi il lavoro per noi, giorno e notte è impossibile. Mentre il giorno si lavorava con i pranzi per gli ufficiali ininterrottamente, la notte si doveva lavorare con la truppa, fornendo vino in fiaschi e liquori. Mobilitai diversi ragazzi e, insieme a me, svegliavamo tutti i soldati, e tutti acquistavano vini, liquori e panini imbottiti. Basti dirvi che dopo un anno dalla morte di mio zio, avevo non solo pagato tutti i
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debiti, rifornito abbondantemente il buffet dai migliori salami di Modena ai formaggi di ogni specie, ai vini pregiati di Chianti, ai migliori liquori. Avevo in cassa come[...]
[...] Basti dirvi che dopo un anno dalla morte di mio zio, avevo non solo pagato tutti i
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debiti, rifornito abbondantemente il buffet dai migliori salami di Modena ai formaggi di ogni specie, ai vini pregiati di Chianti, ai migliori liquori. Avevo in cassa come riserva lire 6000, somma favolosa per quei tempi, e che al momento che scrivo non si può comprare neanche un paio di scarpe modeste. Eravamo tanto felici, che abbracciavamo il lavoro a piene mani.
L'anno 1910, e precisamente nel mese di maggio, si ammalò il mio povero padre con un forte dolore nelle costale che non gli dava tregua. Fu giuocoforza trasferirlo nella casa nuova al n. 5, per non dare l'impressione che i medici per visitarlo dovevano entrare in quel basso umido, ed intanto diversi medici non sapevano decifrare la natura di quel male. Finalmente dovetti decidermi far venire da Napoli uno specialista che si decise fare qualche puntura, e pare che il 20 giugno migliorava leggermente, e che mi lasciasse intravedere qualche speranza. Come se non bastasse la mia pr[...]
[...] fu adibito a studio, piantammo un salottino alla meglio dove fu celebrato con lusso il battesimo del primo figlio del secondo letto, Carlo.
Tornati dal viaggio di nozze, riprendemmo con passione il nostro lavoro. Zia Angelarosa e Amelia erano in poco tempo diventate maestre nel loro compito, ed io facevo il mio giro per gli acquisti. Come tutte le iniziative mie, anche questa fu coronata con molto successo, e gli affari andavano a gonfie vele. Il lavoro intenso era la pasta, e quasi tutte le sere si dovevano vuotare e selezionare quindiciventi casse, ed i tre artefici ero io, la mia povera Amelia e mio figlio Sabino, il quale fin da piccolo aveva una passione per il commercio, e di scuola era poco appassionato; figlio che in questo momento benedico e lo addito ai fratelli tutti, ai figli, ai nipoti, come esempio di lavoratore, onesto ed obbediente, mai un dispiacere, mai un rifiuto ai suoi doveri. Con questo non voglio menomare l'affetto
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per gli altri figli, che per un buon padre rimane sempre uguale per tutti, anche[...]
[...]era mamma e una persona di servizio ne curavano la manutenzione. La nostra vita fu sempre piena di sagrificii, di lavoro, di privazioni, essa non conosceva, nè concepiva il lusso, solo si affacciavano alla mente i primi due rimorsi (se così vogliamo chiamare) per la mia povera Vincenzina e per il mio povero padre, che solamente quando era venuto il momento che potevano godere la vita, la falce crudele della morte mi vietò tale ambito desiderio.
Il lavoro, e gli affari aumentarono senza sosta. L'idea predominante di diventare grossista non mi dava tregua, interpellai la ditta Ciaburri di Napoli, grossista di coloniali e fabricante di liquori, per avere un poco di credito e fare ad Avellino un mezzo grossista, ma tale credito in un primo momento mi fu cortesemente rifiutato. Ed allora per due anni ancora tirai avanti col fornire a tutti i ferrovieri la merce che disponevo a credito mensile, e malgrado alla fin del mese vi fossero diversi morosi, (che man mano cercavo eliminare) gli affari prosperavano sempre in bene. I miei fornitori, (la ditta[...]
[...]ale felicità non dovesse avere mai tramonto. Lavoravo da solo, sempre tenacemente, ma ero pure coadiuvato dal piccolo Sabino, che a quindici anni pare che era piú incline al commercio, che alla studio.
Mi fu ordinato dall'Ente Autonomo di gestire uno spaccio per la vendita dei generi tesserati, cosa che dovetti accettare per forza, per non perdere il diritto di esonero al servizio militare, ma fu un grande guaio ed un forte lavoro, poiché oltre il lavoro della mia azienda già molto bene avviato, dovevo occuparmi della fornitura di quasi 600 famiglie, ed alla sera dovevo prepararmi ogni cosa, e cioè pacchi di pasta da 123 chili e così per lo zucchero. Però la sera ero aiutato dalle figlie del controllore Venturi, che eravamo più che parenti e spesse volte la sera a mezzanotte si finiva a maccheroni aglio ed olio cucinati sapientemente da mia suocera o, meglio, zia Cristina.
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Si andò avanti cosí fino al 1916, venne il richiamo di mio figlio Amato, e fu per me un grande dispiacere, sia perché esso veniva tolto dagli studii, [...]