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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Il lavoro è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 747Analitici , di cui in selezione 30 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Angelo Muscetta, Memorie del cavaliere Angelo Muscetta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]i fà, mi rivolsi a mia madre, non perché lei avesse dei risparmii, ma per avere qualche consiglio. Difatti mi consigliò di farne richiesta all'unico parente, mi rivolsi a lui, ed a titolo di prestito mi feci anticipare lire 15 che spesi per tutto l'occorrente, con una cassetta vecchia che mia madre si fece dare [d]al droghiere dove facevamo la spesa, e così con quella cassetta costruii alla meglio il famoso bancariello di ciabattino. Ebbe inizio il lavoro, il mio propagandista fu il nostro portiere, un vecchio, con la moglie piú vecchia di lui: poveretto, viveva anche lui nella piú squallida miseria, spesse volte mia madre gli scendeva qualche residuo, e così facemmo che o rutto porta o sano (1).
Il primo mio lavoro fu di riparare gratis un paio di ciabatte vecchie della portiera, che non sapevo da che punto incominciare, però la propaganda fece il suo effetto, ed i clienti aumentavano giorno per giorno, e i guadagni con soddisfazione venivano consegnati a mia madre, che mi baciava con tanta effusione, e si rallegrava di aver un figlio d'oro,[...]

[...]istallammo in casa di due sorelle di mia madre, suore zia Peppa e zia Filomena, in attesa di stabilirci, forse ad Avellino. Ed infatti dopo quattrocinque giorni, partimmo io e mio padre alla volta di Avellino, pregando la sorella di mio padre, zia Angelarosa, il marito zio Sabino e zio Sabatino (che abitava alla casa del Notaio Titomanlio padre in via Beneventana) pregando questi parenti venirci in aiuto, anche a titolo di prestito, per iniziare il lavoro. Ma intanto, un poco perché le loro case non andavano bene, un poco per farci assumere una certa responsabilità, pregarono il compare Fusco perché c'improntasse qualche cosa, per iniziare il lavoro.
Qui entriamo nella terza fase, e potrei dire « dall'ago al milione »..
Verso la fine di agosto, sempre del medesimo anno, il compare Fusco consegnò a mio padre 8 coppi da lire 5 cadauno di bronzo, cioè in tutto lire 40 (ed a questo proposito, in cuor mio non è mancata la riconoscenza verso i1 compare Fusco) che furono le prime fondamenta,
e l'inizio basillare del mio lavoro.
Con lire 40, che avevano quel valore a quell'epoca, comprammo un carrettino e un somarello, mezzo malandato, non vispo come il somarello che avevamo prima di emigrare in Francia. Fittammo un basso di due vani, una p[...]

[...]tta per questo trasloco e che tu l'ultimo.
Fuori i Platani, e propriamente di fronte al nuovo Ospedale, vi era una fabbrica di vetro soffiato, ossia vetro ordinario chiamato comunemente niretti e carrafoni. Questa fabrica [era] gestita da Luigi
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Masullo, vecchia conoscenza di mio padre, il quale ci accordò un credito che non doveva superare le lire 100, credito che veniva estinto appena venduta la merce, ripigliando l'altro. Il lavoro procedeva benino, e si arrivava fino alla provincia di Foggia. Io mi sentivo umiliato guidare quel carretto, ché quando era carico mi toccavo seguirlo a piedi. Non solo. Ma per le salite mi toccavo a tirare, perché il povero somarello non ce la faceva. Eppure ero felice. Per le discese, salivo a cavallo e cantavo sempre, specie quando si avvicinava l'ora del pasto alla sera. In quell'epoca in tutte le taverne si mangiava a pasto, il mezzogiorno e la sera, e si aveva per ogni pasto insalata verde, maccheroni, o pasta e fagioli, baccalà o carne, formaggio, pane e vino senza limiti. Ogni pasto c[...]

[...]rtavo il nome del padre, e mi voleva molto bene, andiedi a prendere servizio, giustificandomi verso i clienti che ero stato poco bene. La sera tornò lo zio Sabino da Napoli con l'ultimo treno di mezzanotte, disse: — Buona sera —, a cui risposi; ma non mi disse altro. Diede alcune disposizioni ,a mio zio Gavino, che funzionava sempre da cuoco, e si ritirò. Fui quella sera un poco contrariato per .il suo atteggiamento ancora severo, e pensando che il lavoro di pacificazione l'avrebbe preparato la zia Angelarosa sua moglie, andiedi a riposare per qualche ora nella stanzetta su una tavola, l'unica camera mia da letto, per diversi anni; camera da letto che da giorno funzionava da sala da pranzo, e la sera la tavola funzionava da letto: stanzetta umida, perché terra piena, e il sole si vedeva a scacchi. Quella vita durò per circa tre anni, e tutta quell'umidità fu la causa farmi perdere in pochi anni uno per uno tutti í denti. Passarono dei giorni, mi riappaciai (e con me, anche i miei) con zio Sabina. Lettere dalla fidanzata Vicenzina venivano tutt[...]

[...], partimmo alla volta di Avellino alle ore diciannove per arrivare alle ore ventiquattro circa, con una fame da lupi. La mia povera madre ci aspettava, e ci cucinò alla svelta dei maccheroni e un uovo. Preparai le mie cose, e dopo due giorni arrivò il vagone di merce nuova e bellissima, malgrado la sicurezza di mio zio Sabino che io non avrei avuto mai il piacere di avere un vagone di merce con un credito (a quei tempi colossali) di lire 3.600.
Il lavoro ebbe inizio, mio padre lavorava giorno e notte per i mercati viciniori, Atripalda compreso, avrei voluto accompagnare mio padre col carretto, ma non volli farlo, non per il lavoro, né per ver
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gogna di farlo, (perché il lavoro onesto, qualunque specie di lavoro, anche umiliante non mi aveva fatto mai impressione); ma per non dare adito alle persone che mi avevano sempre invidiato, dopo il mio matrimonio, perché non potevano rendersene ragione come io ero stato capace di apparentare con una delle prime famiglie di Montefusco. Presi un garzone e lo misi al servizio di mio padre.
Si lavorava benino, e si sbarcava alla men peggio il lunario. Fu venduto primo vagone di merce, molto prima del previsto. I'l mio capitale iniziale, al netto di interessi e delle spese generali, da lire 500 sali a lire 900, le cambiali con l[...]

[...] — Aspettate, e vedrete che quel giovane, (si alludeva a me) per la sua abilità nella vita, farà progresso e non gli mancherà mai nulla. Passarono 7 mesi, e già i preliminari di pace da parte di zio Sabino (segnatamente l'amico suo intimo Compare Fusco) si avvicinarono a me per persuadermi a fare la pace, toccando il mio debole, la moglie di zio Sabino, la buona zia Angelarosa, sorella di mio padre. Ma io non volevo più saperne. Avevo saputo che il lavoro del buffet era fortemente aumentato, e malgrado avessero preso servizio due camerieri una cameriera, una sguattera, oltre il cuoco, non potevano arrivare, e tutti rubavano. Ebbi pietà di loro e pensando anche quanto avevano fatto per me, creandomi una famiglia, finii per accettare, e tranne mio padre che seguitava il suo mestiere, e mia madre che con la cameriera vigilava cinque camere mobiliate nel palazzo Alvino, che avevano nove ferrovieri a pensione, io, mia moglie e le mie sorelle, ci riunimmo con zio Sabino e zia Angelarosa. Per ragioni di economia, cambiammo casa. Io e mia moglie due c[...]

[...] del buffet si avviavano ad un lieve miglioramento, e in quell'anno mio zio Sabino ricevette dal Brasile da un suo cognato, marito della sorella, una rimessa di lire 2.800 con preghiera di comprarci una casetta, perché il loro progetto era quello di vdlersi rimpatriare con la famiglia. Questa rimessa fu di un gran sollievo, perché mio zio Sabino, profittando ohe vi era una pianta disponibile (l'attuale fabricato) alla ferrovia, pensò di iniziare il lavoro, e costruire un fabricato, composto di dodici vani, oltre i scantinati. Si iniziarono i lavori, vennero altre rimesse dal Brasile fino a raggiungere la somma di lire 8.500. La casa fu ultimata, e con l'appaltatore Maiali padre fu stabilito che la resta dell'importo del fabricato venisse pagata in tre annualità. Mio zio Sabino e mia zia Angelarosa si stabilirono nel nuovo fabricato, e segnatamente nella camera attuale n. 8 col balcone prospiciente sul piazzale della stazione, ed il resto delle camere per uso di albergo. Io, Vincenzina mia moglie e i due bambini Amato e Sabino ci trasferimmo al[...]

[...]rmire. Ne avevano il diritto, perché mio zio doveva a loro, se si era costruito la casa. Intanto il mio dubbio incominciava a rodermi il cervello, pensando che questi nipoti, due donne e un maschio, giovanotti, potevano farmi dare lo sgambetto, per piazzarsi loro con lo zio, e io con moglie e due figli potevo trovarmi sul lastrico. Affidai il mio destino alle preghiere, ed una forza occulta mi fu di sprone: diventai dinamico, instancabile, e con il lavoro enorme che si era venuto a creare si aveva bisogno di aiuto, di altro personale, e naturalmente mio zio Sabino cercò utilizzare i suoi parenti, che tornati dal Brasile erano diventati tanti parassiti, non sapevano e non volevano far niente. Mio zio Sabino, col suo occhio clinico, guardava la situazione, e lui stesso vedeva la differenza che cassava fra me e loro: io che abbracciavo con passione tutti i disagi, il lavoro, i sagrificii, e loro, apatici, pensavano a mangiare, bere e dormire. E naturalmente, col mio lavoro, con le mie privazioni di sonno, di divertimento, di riposo, e con lo sprone di mia zia Angelarosa verso il marito (con questo vi è un antico detto, che bisogna essere sempre il parente della Regina e non _del Re), feci breccia nell'animo di zio Sabino, diventando il suo beniamino, e non ebbe lui né il coraggio, né la malvagità di cambiare quell'affetto sincero verso di me.
Intanto però mio zio Sahino cercava una soluzione per liberarsi di cinque persone adulti, che da diversi mesi erano a su[...]

[...]e; piena di sacrificii e piena di responsabilità. Fu necessario trasferirmi dal palazzo Alvino alla casa da poco fabricata, e precisamente nella camera n. 8 abitata dal defunto zio Sabino, e alla stanzetta attigua n. 7 si trasferì la zia Angelarosa, con i miei due figli Amato e Sabino, mentre nel basso, dove attualmente esiste la trattoria di Melella Giordano, abitava mio padre, mia madre, e le mie due sorelle, tornate da S. Giorgio del Sannio.
Il lavoro del buffet era di molto aumentato: poco per volta pagai tutti i debiti lasciati dal mio povero zio, fino all'ultimo centesimo, perché non volevo che si parlasse male di mio zio defunto. Posso garantirvi che la mia felicità era completa, lavoravo con la mia povera moglie Vincenzina senza limiti.
Nel novembre del 1909 avvenne un forte diluvione nella provincia di Salerno, producendo fortissimi danni, con la caduta di un ponte ferroviario e con la distruzione di parecchi chilometri della ferrovia. E proprio in quell'epoca vi doveva essere un forte passaggio di truppe che dovevano prepararsi per[...]

[...] novembre del 1909 avvenne un forte diluvione nella provincia di Salerno, producendo fortissimi danni, con la caduta di un ponte ferroviario e con la distruzione di parecchi chilometri della ferrovia. E proprio in quell'epoca vi doveva essere un forte passaggio di truppe che dovevano prepararsi per la Libia, e tutte queste truppe dovettero passare per molti giorni per Avellino, finché non fosse riattivata la ferrovia nel Salernitano. Descrivervi il lavoro per noi, giorno e notte è impossibile. Mentre il giorno si lavorava con i pranzi per gli ufficiali ininterrottamente, la notte si doveva lavorare con la truppa, fornendo vino in fiaschi e liquori. Mobilitai diversi ragazzi e, insieme a me, svegliavamo tutti i soldati, e tutti acquistavano vini, liquori e panini imbottiti. Basti dirvi che dopo un anno dalla morte di mio zio, avevo non solo pagato tutti i
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debiti, rifornito abbondantemente il buffet dai migliori salami di Modena ai formaggi di ogni specie, ai vini pregiati di Chianti, ai migliori liquori. Avevo in cassa come[...]

[...] Basti dirvi che dopo un anno dalla morte di mio zio, avevo non solo pagato tutti i
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debiti, rifornito abbondantemente il buffet dai migliori salami di Modena ai formaggi di ogni specie, ai vini pregiati di Chianti, ai migliori liquori. Avevo in cassa come riserva lire 6000, somma favolosa per quei tempi, e che al momento che scrivo non si può comprare neanche un paio di scarpe modeste. Eravamo tanto felici, che abbracciavamo il lavoro a piene mani.
L'anno 1910, e precisamente nel mese di maggio, si ammalò il mio povero padre con un forte dolore nelle costale che non gli dava tregua. Fu giuocoforza trasferirlo nella casa nuova al n. 5, per non dare l'impressione che i medici per visitarlo dovevano entrare in quel basso umido, ed intanto diversi medici non sapevano decifrare la natura di quel male. Finalmente dovetti decidermi far venire da Napoli uno specialista che si decise fare qualche puntura, e pare che il 20 giugno migliorava leggermente, e che mi lasciasse intravedere qualche speranza. Come se non bastasse la mia pr[...]

[...] fu adibito a studio, piantammo un salottino alla meglio dove fu celebrato con lusso il battesimo del primo figlio del secondo letto, Carlo.
Tornati dal viaggio di nozze, riprendemmo con passione il nostro lavoro. Zia Angelarosa e Amelia erano in poco tempo diventate maestre nel loro compito, ed io facevo il mio giro per gli acquisti. Come tutte le iniziative mie, anche questa fu coronata con molto successo, e gli affari andavano a gonfie vele. Il lavoro intenso era la pasta, e quasi tutte le sere si dovevano vuotare e selezionare quindiciventi casse, ed i tre artefici ero io, la mia povera Amelia e mio figlio Sabino, il quale fin da piccolo aveva una passione per il commercio, e di scuola era poco appassionato; figlio che in questo momento benedico e lo addito ai fratelli tutti, ai figli, ai nipoti, come esempio di lavoratore, onesto ed obbediente, mai un dispiacere, mai un rifiuto ai suoi doveri. Con questo non voglio menomare l'affetto
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per gli altri figli, che per un buon padre rimane sempre uguale per tutti, anche[...]

[...]era mamma e una persona di servizio ne curavano la manutenzione. La nostra vita fu sempre piena di sagrificii, di lavoro, di privazioni, essa non conosceva, nè concepiva il lusso, solo si affacciavano alla mente i primi due rimorsi (se così vogliamo chiamare) per la mia povera Vincenzina e per il mio povero padre, che solamente quando era venuto il momento che potevano godere la vita, la falce crudele della morte mi vietò tale ambito desiderio.
Il lavoro, e gli affari aumentarono senza sosta. L'idea predominante di diventare grossista non mi dava tregua, interpellai la ditta Ciaburri di Napoli, grossista di coloniali e fabricante di liquori, per avere un poco di credito e fare ad Avellino un mezzo grossista, ma tale credito in un primo momento mi fu cortesemente rifiutato. Ed allora per due anni ancora tirai avanti col fornire a tutti i ferrovieri la merce che disponevo a credito mensile, e malgrado alla fin del mese vi fossero diversi morosi, (che man mano cercavo eliminare) gli affari prosperavano sempre in bene. I miei fornitori, (la ditta[...]

[...]ale felicità non dovesse avere mai tramonto. Lavoravo da solo, sempre tenacemente, ma ero pure coadiuvato dal piccolo Sabino, che a quindici anni pare che era piú incline al commercio, che alla studio.
Mi fu ordinato dall'Ente Autonomo di gestire uno spaccio per la vendita dei generi tesserati, cosa che dovetti accettare per forza, per non perdere il diritto di esonero al servizio militare, ma fu un grande guaio ed un forte lavoro, poiché oltre il lavoro della mia azienda già molto bene avviato, dovevo occuparmi della fornitura di quasi 600 famiglie, ed alla sera dovevo prepararmi ogni cosa, e cioè pacchi di pasta da 123 chili e così per lo zucchero. Però la sera ero aiutato dalle figlie del controllore Venturi, che eravamo più che parenti e spesse volte la sera a mezzanotte si finiva a maccheroni aglio ed olio cucinati sapientemente da mia suocera o, meglio, zia Cristina.
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Si andò avanti cosí fino al 1916, venne il richiamo di mio figlio Amato, e fu per me un grande dispiacere, sia perché esso veniva tolto dagli studii, [...]



da Danilo Dolci, Pagine di un inchiesta a palermo, introduzione di Ernesto De Martino in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]to, 15 di piastrelle.
Una quindicina di famiglie sono senza luce. Delle rimanenti, più della meta l'hanno dai vicini.
Una stanza (di 2,50 X 6,00; h = 3,20) con 11 persone; una stanza (di 4,00 X 4,30; h = 4,00) per 10 persone; 3 stanze, ciascuna per 9 persone; 6, ciascuna per 8 persone; 14, per 7 persone; 8, per 6 persone; 11, per 5 persone; 19, per 4 persone; e 54 per meno di 4 persone. Diciannove sono stati ammalati di tifo: 2 ne sono morti.
Il lavoro degli uomini: 39 «trafficanti », «accatta e vinni »; 18 cenciaiuoli; 4 manovali; 2 « portantini di fatica »; 2 netturbini; 2 ciabattini; 1 militare di leva; 1 ortolano; 1 aiuto fabbro; 1 usciere; 1 cromatore; 1 marmista; 1 aiuto fornaio; 1 tubista; 1 falegname; 1 « petrusinaro » (venditore di prezzemolo).
Delle donne, 11 lavandaie, 11 cameriere, 2 comprano capelli a 40 lire ogni 200 grammi e fanno parrucche, qualcuna «lava scale »; le altre in casa.
Settantaquattro sono i bambini fino a 3 anni. Spesso denutriti, malati spesso di «infezioni, intossicazioni, interocoliti, polmoniti »; di ques[...]

[...]ldo pel corredo, una volta pregai un mio conoscente di trovarmi un lavoro più renditizio. Questo parlò con un pezzo di novanta, il malandrino, vecchio e paralitico, che comandava dal di fuori una fabbrica del cemento, disponendo a suo piacimento l'assunzione o il licenziamento degli operai. Come manuale, li lavoravo come una bestia da soma, ora alla fornace ora traspl,rtavo pietra rotta con una roncola di ferro. Io non ce la facevo; per sfuggire il lavoro andavo tre, quattro e anche cinque volte alla latrina; quando la cosa venne a conoscenza del pezzo di novanta, mi cacciarono fuori dicendo ch'ero lagnusu.
Sempre per guadagnare i soldi occorrenti per il matrimonio, ho fatto il rappresentante di cera, il battitore: vendevo statuine, stoffa, orologi «d'oro» eccetera. Finanche lo spicciafaccende, e ho imparato malamente il parrucchiere. Malgrado tutti questi mestieri non sono riuscito mai a accucchiare i piccioli pel matrimonio. La mia fidanzata, che
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 161
vedeva nel matrimonio la soluzione oltre che amorosa an[...]

[...] questo ufficio a fare un giorno di lavoro. E pensare che dipendo dall'ufficio collocamento dei mutilati, che c'è una legge obbligatoria dell'assunzione.
Ieri sono andato a revisionare il tesserino: scena come le altre volte. Ho consegnato il mio tesserino all'agente addetto a questo servizio. Questo, poveraccio, fa come un forsennato: deve da solo esplicare il servizio per il quale occorrerebbero, al giudizio di tutti, da quattro a sei agenti, Il lavoro massacrante lo rende esasperato, ha i nervi a fior di pelle. (Quando io ero bambino ero considerato un essere pericoloso e quelli della polizia mi scacciavano, mi perseguitavano senza nessuna comprensione: ora mi accorgo che io, diventato adulto, comprendo il loro dramma, li considero dei lavoratori sfruttati da questo Stato. Quando ero piccolo e vedevo le guardie, ero come il coniglio di fronte ai fari dell'automobile; oggi invece quando l'incontro mi fanno pieta : sono ancora allo stesso punto, non hanno fatto nessun passo in avanti: hanno la stessa mentalita).
Confusione immensa, la gente[...]



da Alessandro Pizzorno, Alienazione e relazione umana nel lavoro industriale (note) in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA
NEL LAVORO INDUSTRIALE
(Note)
IL LAVORO ALIENATO. C'è alienazione quando l'uomo non é più in rapporto con il prodotto del suo lavoro. Quando il gesto di lavoro si spezza al di qua della forma finita, né « s'informa » nell'oggetto, né é informato da consapevolezza della sua riuscita, del suo uso, del suo destino sociale.
Il gesto dell'artigiano si muove ancora in rapporto a una forma finita. La moralità professionale, «far bene il proprio mestiere », é la coscienza di tale rapporto. L'artigiano « vede » il destino del proprio lavoro, è in percepibile contatto con l'uso sociale dell'oggetto che ha prodotto, « far bene quel lavoro » [...]

[...]uscita, del suo uso, del suo destino sociale.
Il gesto dell'artigiano si muove ancora in rapporto a una forma finita. La moralità professionale, «far bene il proprio mestiere », é la coscienza di tale rapporto. L'artigiano « vede » il destino del proprio lavoro, è in percepibile contatto con l'uso sociale dell'oggetto che ha prodotto, « far bene quel lavoro » ha per lui un senso. La divisione del lavoro é allora al livello della società, quindi il lavoro dà un senso al suo rapporto con la società.
Quando la divisione del lavoro passa al livello industriale, l'operaio non é piú in rapporto con una forma finita, con un oggetto socialmente reale. Egli non « vede » più il risultato del suo lavoro, non lo giudica (altri lo giudicano, strumenti « giudici » lo controllano); questo staccarsi del « vedere » dal « fare » é primo segno che é caduta ogni autogiustificazione del lavoro: contemplare essendo ancora un riscattare in sé la pena del fare.
Resta possibile il rapporto tecnico con lo strumento, rapporto pur chiuso entro appena un segmento del c[...]

[...]» lo controllano); questo staccarsi del « vedere » dal « fare » é primo segno che é caduta ogni autogiustificazione del lavoro: contemplare essendo ancora un riscattare in sé la pena del fare.
Resta possibile il rapporto tecnico con lo strumento, rapporto pur chiuso entro appena un segmento del ciclo produttivo, da gesto a macchina; un « sensibilità di macchina » pu? fisiologicamente e moralmente sostituire la « sensibilità di lima ». Ma quando il lavoro viene organizzato scientificamente, quando cioè la divisione del lavoro viene perfezionata fino a separare dall'esecuzione ogni possibile interpretazione del la voro, allora anche quest'ultimo rapporto tecnico é abolito, e lavorare significa semplicemente inserire gesti in una cadenza rispettando le tolleranze.
136 ALESSANDRO PIZZORNO
Non solo « l'oggetto del lavoro sorge di fronte al lavoro\ come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente » e « l'operaio sta in rapporto al prodotto del suo lavoro come ad un oggetto estraneo » (secondo quanto dice Marx); ma l'atto stesso[...]

[...]ancora condizione dell'artigiano e di ogni lavoro diviso); non solo produce qualcosa di cui altri controllerà il destino tecnico e il destinó sociale; ma il suo gesto stesso non è deciso da lui : come non gli appartiene il prodotto del suo lavoro, così non gli appartiene il suo proprio atto. Non gli è dato di « pensare il suo lavoro ». Questa è la condizione industriale.
L'AUTOMATISMO OPERAIO. Essa sembra fissarsi nel fenomeno dell'automatismo. Il lavoro standard, ripetuto esattamente e monotonamente, in « catena » o in « linea » o davanti a una macchina della quale le braccia o le gambe dell'operaio non sono che prolungamento, e il pensiero assente. Esisteva, come monotonia e ripetizione, certo ben prima della rivoluzione industriale, ma è diventato problema, male sociale, solo in seguito ad essa; e subito, sin dai primi anni dell'ottocento studiato e denunciato, é andato per) aumentando, soprattutto dopo la seconda rivoluzione industriale, quella dell'elettricità e del taylorismo, alla fine del secolo scorso.
Nelle fabbriche l'automatismo [...]

[...].
Nelle fabbriche l'automatismo é raramente assoluto, cioè tale da annullare qualsiasi necessità di attenzione al compito. Inoltre esso si effettua in particolari condizioni di costrizione, di sforzo, di cadenza, di durata, e soprattutto di rumore. E augurabile l'automatismo perfetto, a condizioni ideali, nel comportamento umano di fronte alla macchina, la « marcia all'incosciente » e la possibilità quindi di fantasticherie, di evasione durante il lavoro? A creare tali condizioni mirano gli psicotecnici piú avanzati, soprattutto in Inghilterra ed in Svizzera. L'operaio deve poter ascoltare la musica, parlare con i compagni (questo generalmente é possibile ai montaggi), deve poter pensare ad altro che al
ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA NEL LAVORO INDUSTRIALE, 137
suo lavoro: alle sue faccende. Risposta d'inchiesta: «Preferisco il lavoro a nastro che mi lascia libero di pensare a quello che voglio ». Oppure altri, alla domanda: « non vi annoiate troppo a far quel lavoro ? ». «oh no! pensiamo alle nostre faccende ». Cioè tutti i giorni, per nove ore di seguito; cos'è simile fantasticare allora? Una determinata situazione personale può renderlo patologico nella ripetizione e fissazione (preoccupazioni familiari, figurazioni erotiche, e cosí via). Oltre all'esperienza di Simone Weil, si ascolti per esempio Constance Reaveley, in « Industry and Democracy »; anche lei ha lavorato a lungo in lavori parcellari: «Era come se un'idea [...]

[...]ione (preoccupazioni familiari, figurazioni erotiche, e cosí via). Oltre all'esperienza di Simone Weil, si ascolti per esempio Constance Reaveley, in « Industry and Democracy »; anche lei ha lavorato a lungo in lavori parcellari: «Era come se un'idea fosse associata a un movimento della mano sulla macchina, e si riaffacciasse ad ogni ripetizione di quel movimento ». Evasioni allora, è chiaro, che non sono liberazione.
Molti invece affermano che il lavoro « parcellare » è stato per loro positivo, nel senso che ha favorito altri interessi. Lo dicono in genere i militanti politici. Mermoz per esempio afferma che solo passare dal mestiere di fotografo a un lavoro automatico, gli ha permesso di aprirsi a problemi sociali. E a qualcosa di simile si riferisce Gramsci. Parlando del taylorismo (ed analizzando il caso dell'operaio tipografo, che fa tanto meno errori quanto meno è interessato dal testo) dice che lo sforzo maggiore che possa essere richiesto da un mestiere è di lavorare astraendo totalmente dal contenuto intellettuale del lavoro. « Tutta[...]

[...]incipio, o questa mira, poteva prender senso in un contesto dove lavoro significava trasformazione di materia, o di natura; può conservarlo tuttora : che da una parte, i? complesso piú rilevante di attività sociale consiste in compiti di organizzazione e di sorveglianza; e d'altra parte, alla base stessa del processo produttivo, il limite è la riduzione di ogni compito a sorveglianza o ad incoscienza, e nessun contatto più con la materia? Mentre il lavoro di ognuno tende a coincidere con un'« attesa di comportamento », cioè con l'identificazione ad un ruolo. « Work role » è la nozione principe della sociologia industriale americana, definita : la parte che il lavoratore recita (« plays ») nel suo gruppo di lavoro. Ecco la nuova destinazione del gesto di lavoro, non più nella materia da trasformare, ma nell'occhio che lo sorveglia (pur solo in metafora). Ecco la nuova moralità professionale: norma di relazione umana, «esser ben visto », « farsi degli amici », « essere in buoni rapporti con l'ambiente di lavoro ». E questi rapporti si attuano co[...]

[...]i valori chiamati in gioco sono utilitari: la realizzazione degli interessi dei singoli; lo stacanovismo fa appello principalmente a valori politici, cioè di solidarietà con una comunità (ma non unicamente, perché gli incentivi finanziari sono anche molto forti).
***
Il taylorismo è perciò definito soprattutto da questo spogliare il lavoratore di ogni possibilità di decisione, di partecipazione intellettuale al compito che gli viene assegnato. Il lavoro tocca il limite massimo dell'astrazione: lavorare significa compiere gesti, rispettando delle norme e delle tolleranze. Viene quindi perfezionata quell'estraneità dell'uomo al proprio lavoro, apparsa con la condizione industriale, e in un certo modo costitutiva di essa. D'altra parte il taylorismo, psicologicamente, poneva ancora sullo stesso piano dirigenti e dipendenti: la massima in nome della quale si doveva regolare la condotta di ognuno era la stessa: realizzare il proprio interesse. Inoltre, certo senza
ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA NEL LAVORO INDUSTRIALE 143
proporselo, esso creava [...]

[...]un atteggiamento, di un costume, di un galateo. Ma che non diventi sistema, che non voglia impostare i rapporti di lavoro su di un piano psicologico, sul mito della « presa di coscienza », mentre questi si effettuano ancora su di un piano di potenza.
ALIENAZIONE E RELAZIONE UMANA NEL LAVORO INDUSTRIALE 145
Che un'abile politica industriale riesca a convincere l'operaio dell'importanza del suo lavoro, non muterà la semplice realtà del fatto che il lavoro del singolo operaio non é importante. Qualunque sia la coscienza che se ne possa assumere. Il taylorismo, pur con i suoi eccessi e le sue astrazioni, rispecchiava fondamentalmente una situazione reale. Convalidava in formule e sistema la già avanzata abolizione di ogni iniziativa e responsabilità dell'operaio, chiuso nell'organizzazione industriale. Ed é probabile che lo stesso stacanovismo, per quegli aspetti che attribuiscono un'iniziativa organizzativa all'operaio, sia relativo solo a uno stadio giovanile dello sviluppo industriale. Col grado attuale di divisione del lavoro é illusorio ten[...]



da Osvaldo Bayer, Il cimitero dei generali prussiani in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...] tedeschi realizzarono i primi studi sociologici sulla vita dei lavoratori argentini. Mentre il maresciallo von der Goltz si occupava di cavalli da corsa (« Se non fosse stato per le belle donne argentine, avrei perso il mio vecchio cuore dietro i cavalli »), i socialisti esiliati scrivevano sul lavoro delle donne e dei bambini a Buenos Aires:

La Fabbrica Argentina di Scarpe di corda dà lavoro a 510 operai, dei quali 460 sono donne e bambine. Il lavoro comincia alle 6 di mattina e dura fino alle 6 del pomeriggio, con un’interruzione di un’ora e mezza a mezzogiorno. Il lavoro viene fatto a cottimo lavoro a cottimo = lavoro criminale —. Un lavoratore zelante può guadagnare « l’enorme » somma di 10 pesos di carta alla settimana, mentre le ragazze non più di 6 pesos. Si producono dodicimila paia di scarpe di corda al giorno. Cioè in Argentina non solo esistono grandi stabilimenti industriali, come in Europa, ma qui vi è, anche, il più grande sfruttamento del lavoro di donne e bambini (« Vorwàrts », 26.3.1892).

Durante tutta la permanenza in Argentina del maresciallo tedesco conte von der Goltz, il colonnello argentino José Felix Uriburu ne fu l’accompagnatore. Ve[...]

[...]no appena a percepire i profumi, ad accarezzare la pelle dell’amore, a guardare il cielo e ad ascoltare la pioggia? Non ho mai avuto il coraggio di farlo, ma un giorno mi piacerebbe gridar loro: andiamocene! Lasciate i generali nel loro cimitero! Disertate una buona volta! Disertare, la parola del coraggio civile e della ribellione! Ormai siamo a maggio e le api hanno cominciato a far dischiudere i fiori e ci sono labbra rosee e vino e sieste, e il lavoro e l’amicizia, e i figli, e tutto il mistero, la poesia e la musica. E il dialogo, nonostante Babele, e la pace, nonostante i Krupp. Nel 1910, nel suo viaggio attraverso l’Argentina, il maresciallo conte von der Goltz fu accompagnato da un rappresentante dei Krupp. « Il nostro piccolo gruppo si sistemò rapidamente: i miei figli, il signor von Restorff, rappresentante di Krupp, con la sua giovane moglie, e due degli ufficiali tedeschi contrattati dall'Argentina ». Nel 1980, settant’anni dopo, il rappresentante di Krupp, il principe Peter von Lobkowicz, ha dichiarato a Buenos Aires: « In Europa [...]



da Recensione di Luigi Ambrosoli su Livia Antonielli, I prefetti dell'Italia napoleonica. Repubblica e Regno d'Italia in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]che nel passato la classe dirigente dellTtalia napoleonica; le risultanze di tale approfondimento dovrebbero chiarire diversi aspetti della politica francese verso PItalia e delle intenzioni anche recondite del Bonaparte riguardo la situazione italiana. Un’altra ragione di questo indirizzo di ricerca è quella di verificare il reale apporto dato dagli italiani al regime napoleonico e i limiti entro i quali si poteva parlare di una loro autonomia. Il lavoro dell’Antonielli, come emerge dal volume ora pubblicato, mostra come questo itinerario di ricerca sia proficuo e, oltre ad offrire nuovi elementi di giudizio, possa consentire di correggere luoghi comuni della storiografia tradizionale. Va precisato che il volume non comprende Papparato biografico dei 52 prefetti della Repubblica e del Regno che sarà pubblicata in altra sede insieme ai relativi riferimenti bibliografici.

L’istituto prefettizio trae origine dalla legge del 17 febbraio 1800 ed è motivato dalla volontà, dopo la parentesi dell’occupazione austrorussa, di realizzare un maggiore [...]

[...]ancesi verso i prefetti italiani. L’Antonielli esamina anche i rapporti dei prefetti con la polizia e la posizione dei prefetti dopo l’istituzione della leva militare obbligatoria affidata a una specifica amministrazione.

Gli ultimi anni del Regno d'Italia furono troppo difficili sul piano politico e militare perché il sistema creato nel 1805 potesse consolidarsi e l’organizzazione amministrativa statale potesse trovare un assetto definitivo. Il lavoro dell’Antonielli consente di rilevare come non si possa parlare di completa liquidazione, nel periodo napoleonico, del personale di provenienza giacobina e cisalpina. Lo stesso Melzi, nonostante la diffidenza nutrita per i rivoluzionari, fu costretto a ricorrere ad alcuni di essi con risultati quasi sempre positivi; molti rivoluzionari proseguirono nella carriera amministrativa e politica e raggiunsero cariche importanti. Il Bonaparte non pensò mai di emarginare gli exrivoluzionari avvertendo come essi potessero costituire un fattore di equilibrio ed evitare involuzioni moderate destinate ad a[...]



da George Lukacs, La mia via al marxismo [traduzione di Ugo Gimelli] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]ti né di quelli di Lenin sulla guerra. Lessi invece, con effetti profondi e duraturi, le opere di prima della guerra di Rosa Luxemburg. Stato e rivoluzione di Lenin l'ho letto solo nel periodo rivoluzionario 19181919.
4 GEORG LUKACS
In tale fermento ideologico mi colsero le rivoluzioni del '17 e del '18. Dopo breve esitazione mi iscrissi nel 1918 al Partito Comunista Ungherese e rimasi da allora nelle file del movimento rivoluzionario operaio. Il lavoro pratico mi costrinse subito a dedicarmi agli scritti economici di Marx, a un più profondo studio della storia, della storia economica, di quella del movimento operaio ecc., impegnandomi così in una revisione continua dei fondamenti filosofici. Tuttavia questa latta per impadronirsi della dialettica marxista durò molto a lungo. Le esperienze della rivoluzione ungherese mi mostrarono bensì molto chiaramente la fragilità di ogni teoria sindacaleggiante (funzione del partito nella rivoluzione), ma un soggettivismo ultrasinistro é sopravvissuto in me ancora a lungo (posizione nel dibattito sul par[...]



da Mario Devena, Una giornata laboriosa [dedicato a Vasco Pratolini] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]triste, di fare uso nel lavorare della penna comune, Michele si serviva del calamaio dalla figura di asino recalcitrante.
UNA GIORNATA LABORIOSA 31
Seduto sull'unica sedia della stanza, ora consultando un libro ora un fascicolo, andava sviluppando un rapporto con un entusiasmo ininterrottamente avvilito da un sentimento nascosto, che gli faceva riandare i momenti usati dal tempo per fargli una vita. Sebbene infatti svolgesse con consapevolezza il lavoro, pure dentro di lui pareva parallelamente svolgersi un sentimento di disagio, che trovava la sua manifestazione nell'imporgli ricordi degli anni passati. E, mentre un sorriso lieve gli increspava gli angoli cadenti della bocca, si era riveduto bambino, quando, riuscito ad entrare nel campanile di una chiesa, aveva preso a sonare una delle campane, così mettendo a soqquadro la parrocchia del quartiere.
Era un giorno d'estate, quello, e botte ne ebbe non solo da un monaco, bensì anche dal padre cui era stato accusato da Amelia in quel tempo vestita di grembiulini quadrettati e pettinata con tr[...]

[...]n solo da un monaco, bensì anche dal padre cui era stato accusato da Amelia in quel tempo vestita di grembiulini quadrettati e pettinata con treccine corte. Allora Amelia, al dire dei parenti era somigliante alla madre... Oh, suo padre! Chissà cosa avrebbe mormorato nel saperlo funzionario dai capelli brizzolati e non professore di lingue. Quanta bontà era in lui: nell'aspetto scarno, bonario, poco alto e ridanciano e negli atteggiamenti morali. Il lavoro, continuato in casa come lezioni private,. era la sua verità, e gli occupava l'intero giorno, quante tunque non gli impedisse di preoccuparsi intensamente dei due figlioli. Forse, se non era ingiusto un simile pensiero, maggiore cura usava per Amelia...
Oh! aveva scritto autorizzazione con quattro zeta. Ma Amelia... come mai non si affancendava per le camere?
« No, non si vede: è cassato bene. Autorizzazione », aveva detto a voce alta, mentre dalla via il suono di una fisarmonica gli giungeva quasi fosse sonato nella camera accanto. In vero, però, nella stanza divisa da Enzo e da Amelia que[...]

[...]nella guerra del... Erano stati lodati, quelli del ventiduesimo battaglione. E quale accoglienza subirono nel fare ritorno . in patria. Fu una festa. La grande festa che precedette l'altra ancora più memorabile che lo vide, vestito in tutt'altro modo, sposo e marito felic4.
Quanta musica! gli rammentava il motivo osceno della fisarmonica e senza turbarlo, perché del tutto occupato in quel momento a rivedere i ricordi della sua memoria. Finanche il lavoro aveva smesso e, mentre tormentava con la mano la copertina di un fascicolo, con commozione andava dipingendo la sua donna.
Aveva voluto preferirla, anche per la dote di cui ancora godeva con l'abitare lá casa sulla via ad esse; ma, non ostante l'avesse preposta al suo primo amore, non mancava nei momenti di esasperazione di incolparla di una modesta condizione sociale. Di rado, però, il suo atteggiamento portava dolore alla giovane sposa o al figliuolo; il quale poi già a tre anni, con un difetto della mano appena visibile, dimostrava qualità e doti non comuni. In vero siffatta persuasione n[...]

[...]ava tutta la vecchiezza degli anni, involontariamente era stato richiamato dal paragonare il suo balcone spoglio a quello accanto della sorella, ove facevano bella mostra sotto il solicello autunnale molte piante ancora verdi. E, mentre tanto paragone rafforzando la pietà di sé, ad un tempo, lo liberava dal rime pianto e lo induceva a sedersi ancora al lavoro, aveva nuovamente udito la voce della sorella che nella camera accanto, pur continuando il lavoro di cucito, andava burlandosi del cane pezzato marrone. In verità le parole di Amelia per il nuovo motivo sonato sulla fisarmonica erano del tutto incomprensibili; e come esse raggiungevano imprecise Michele, così lui, quasi che la imprecisione gli allontanasse la verità del momento, continuava a rivedere il passato contro lo sfondo del suo sentimento di pietà. E, mentre sentiva di essere impedito nel lavoro, tanto che già più volte aveva intinto invano la penna nello asino recalcitrante del calamaio, era come caduto in un assopimento morale che, pure favorendo lo svolgersi della memoria, non [...]

[...]espressione un significato particolare; quel significato, cioè, che tentò di spiegare ad Amelia, facendo ricorso alla favola che con i compagni avrebbe dovuto rappresentare.
Gli uomini grandi piangono solo quando hanno un forte dolore, perché hanno commesso qualche cattiveria: anche questo ha spiegato la maestra. Nella recita che dobbiamo fare... ».
« Avevi detto di non poterne raccontare », interrompeva Amelia che, come sollecitata riprendeva il lavoro di cucito.
« Si, si, é vero. Non posso, non posso proprio », aveva concluso Enzo, mentre i suoi occhi castanei si colmavano di un felice disappunto; allora che Michele, seduto sulla poltrona dirimpetto al quadro del cardinale, rimuginava tra sé la frase, secondo la quale il pianto degli uomini è conseguenza di malvagità. E, mentre il bambino in un impeto di gioia, al pensiero della recita e del suo segreto, riprendeva a tormentare il cane, il funzionario, per l'atmosfera che gli era intorno, credette di scoprire nella frase medesima la verità della propria condizione. Si che, come una parent[...]



da Rocco Scotellaro, L'uva puttanella (con una nota introduttiva di Carlo Levi) in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]nell'aria e si combinano per inaspettati colpi di vento.
La nascita è un premio prezioso che ci possono rubare e che bisogna assicurare col battesimo.
L'amore non esiste. Esiste il disamore che si esprime nelle combinazioni, negli innesti, nei matrimoni quando due esseri inconciliabili sono uniti con un ferro rovente del caso. L'atto sessuale riprova soltanto l'aspirazione all'amore.
Siamo qui, senza volontà di vita, con la paura della morte. Il lavoro é un richiamo della terra .che ci vuole sempre più in profondo.
Gli animali e i prodotti della terra sono la misura del nostro essere.
Ma gli uomini, tutti gli uomini e le donne sono diversi da me in tutto.
Siamo uguali nel disamore e nella morte.
4.
Dalla parte del più forte.
Machiavelli accettò per destino irrimediabile la condizione dei governati secondo la convinzione che se anche questi riusci
vano con moti a travolgere i poteri dovevano poi rientrare ai loro posti, essendo determinante la condotta dei potenti a generare o governare la storia.
Machiavelli era più psicologo che st[...]

[...]avremo affatto) che potranno spiegarci domani cib che capita sotto i nostri occhi oggi quando loro non sono ancora nati.
7.
Scrivendo un racconto si deve ammettere l'implicita conoscenza dei fatti, che sono quelli e potrebbero essere infiniti altri della realtà; l'aria, invece, del racconto costituisce un'altrettale realtà della fantasia, ed è la sola che conti.
8.
Era tutta questione di farsi vedere.
Uno avrebbe lavorato con gioia quando il lavoro si consuma come una gioia.
Ma appena — dopo un'ora — smettere il lavoro per spandere la gioia. Chiamatela vanità o soltanto desiderio di moltiplicarsi di abbracciare di riempire l'aria di sé col foglio aperto in mano, con la targa dell'allegrezza.
Così l'acino piccolo forzava le porte per vedere il sole tra gli acini grossi, e non si moltiplicava, non si faceva grande.
9.
Ka f ka
Nella mia Uva puttanella non é questione di puttanismo politico, fenomeno comune ai capi e ai gregari delle chiese e dei partiti e a tutti gli uomini.
Si tratta, invece, di una rinuncia all'essere, di riluttanza al divenire maturi e grandi.
Ho visto uomini in divisa consacrarsi al[...]



da Ernesto De Martino, Perdita della presenza e crisi del cordoglio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...] vita, concentrando magari su un qualsiasi surrogato l’organizzazione del proprio delirio. In una certa misura ciò può accadere anche nel normale lavoro del cordoglio, come provano gli infiniti espedienti cui talora si ricorre per cancellare o attenuare l’asprezza dell’inaccettabile « mai più » e per guadagnare il tempo necessario a compiere il distacco e la risoluzione degli affetti che il morto aveva mobilitato in noi quando era in vita. Ma se il lavoro del cordoglio riesce, questi espedienti stanno nella dinamica del periodo di lutto appunto come strumenti di distacco e di risoluzione, e quindi come tecniche di riadattamento alla realtà storica, che alla fine sarà accettata e riconosciuta con la rinuncia ad altro che non sia un dolce e benefico ricordo velato di mestizia. Al contrario nei patologici deliri di negazione ciò che dovrebbe funzionare come strumento tecnico di riadattamento diventa centro di organizzazione di tutta la vita psichica, inerzia e pigrizia in cui ci si adagia, argomento di progressivo distacco dalla realtà; e ancorch[...]

[...]so la persona morta, e di instaurare nuovi comportamenti che tengano conto del fatto della morte: ora questa soppressione e questa instaurazione comporterebbero un lavoro, che può non riuscire, in quanto o si continua ad agire come se il morto fosse ancora in vita o si perde troppo presto la memoria dell’evento luttuoso, per improvvisa amnesia (18). Questa interpretazione della crisi del cordoglio non offre nessun criterio sicuro per distinguere il lavoro che riesce da quello che fallisce: è infatti vero che durante il periodo di lutto, e anche oltre, hanno luogo comportamenti che ritardano o variamente attenuano il pieno riconoscimento della morte, come stanno a testimoniare non foss’altro i riti funerari di tutte le epoche, e i miti dell’al di là e del mondo dei morti, ma tale « ritardo » non costituisce in sé malattia se attraverso di esso si facilita il compito di «far morire i nostri morti in noi». D’altra parte l’amnesia improvvisa ddl’evento luttuoso non è patologica perché l’oblio si produce « troppo presto », e Parreste concerne un nu[...]

[...]o a testimoniare non foss’altro i riti funerari di tutte le epoche, e i miti dell’al di là e del mondo dei morti, ma tale « ritardo » non costituisce in sé malattia se attraverso di esso si facilita il compito di «far morire i nostri morti in noi». D’altra parte l’amnesia improvvisa ddl’evento luttuoso non è patologica perché l’oblio si produce « troppo presto », e Parreste concerne un numero « eccessivo » di atti, ma perché non è stato compiuto il lavoro di interiorizzazione e di risoluzione che è proprio del cordoglio.

In ogni c^so il giudizio non è quantitativo, ma qualitativo, cioè concerne l’effettivo « passare nel valore » che si compie attraverso il cordoglio come lavoro: e qualsiasi ritardo non sarà mai eccessivo né qualsiasi anticipo prematuro (cioè non si tratterà né di ritardo né di anticipo, ma semplicemente del tempo giusto) se l’uno o l’altro ridischiuderanno gradualmente il vario operare culturale compromesso dalla crisi. D’altra parte proprio il Janet, a proposito della malata già precedentemente ricordata, e nel tentativo d[...]

[...]itto Tauer und Melancolìe. Il Freud volle scorgere un differenza fra il cordoglio e la melancolia per il fatto che « mentre nel cordoglio è il mondo ad essere povero e vuoto, nella melancolia lo è l’io stesso» (20). Una seconda differenza starebbe nel fatto che mentre il cordoglio si riferisce « alla perdita cosciente di un oggetto amato » la melancolia è in rapporto con una perdita «che si sottrae in qualche modo alla coscienza» (21). Ciò posto il lavoro compiuto dal lutto consisterebbe nel distacco della energia libidica dall’oggetto perduto, e nel reimpiego di tale energia per nuovi investimenti: ora il distacco e il reimpiego possono non riuscire, e la libido può restar legata al vecchio oggetto, che più non esiste, determinando una separazione della realtà e una psicosi allucinatoria del desiderio (22). Nella melancolia invece la perdita dell’oggetto amato (che non è necessariamente una morte fisica, ma in generale una impossibilità di fatto di continuare il rapporto con l’oggetto amato) costringe la libido ad abbandonare l’oggetto, e a r[...]

[...]ericolo gli oggetti amati per primi — in ultima analisi i « buoni genitori » — e pertanto obbliga a restaurare in sé anche il mondo interno, che sta perdendo il suo equilibrio e sta andando in rovina. Il cordoglio è un lavoro che provvede a questa duplice restaurazione: ma vi provvede riattivando e ripetendo — sebbene in diverse circostanze e con diverse manifestazioni — gli stessi processi maniacodepressivi che sono propri dell’epoca infantile. Il lavoro del cordoglio non riesce quando la persona non ha potuto stabilire nella sua infanzia i suoi interni « buoni oggetti », e affronta perciò l’evento luttuoso già in condizioni di insicurezza e di squilibrio interni (28).

Le teorie psicoanalitiche del cordoglio hanno in comune il limite fondamentale di restare essenzialmente al di fuori della grande tradizione culturale che riconduce il lavoro del cordoglio al « far morire i nostri morti in noi», cioè al far passare i morti nel valore, trascendendo con ciò la situazione luttuosa. La vicenda della «libido oggettuale» che nel cordoglio sarebbe impegnata a distaccarsi dalPoggetto perduto e ad impiegarsi in un nuovo oggetto parrebbe adombrare in qualche modo ciò che abbiamo chiamato « trascendimento della situazione luttuosa » : ma in realtà la libido (o vitalità) non va oltre la polarità del piacere e del dolore e delle corrispondenti reazioni, e l’oggettivazione secondo forme di coerenza culturale non è opera della vitalità, ma delPe[...]

[...]azione per aprirsi alla passione di Cristo e per morire con Cristo al peccato: fac me tecum piangere, fac ut portem Christi mortem, come si legge nella sequenza dello Stabat. Ma questo altissimo modello del dolore cristiano non poteva operare realmente nella storia e svolgervi la sua effettiva pedagogia dell’umano cordoglio se non avesse saputo rag
(35) Ambbr., De obìtu Valent., 39 CSEL 73, p. 348 Faller.

(36) Sullo Stabat resta fondamentale il lavoro di C. Ermini, Lo Stabat Mater e il pianto della Vergine nella lirica del Media Evo, 1916.88

ERNESTO DE MARTINO

giungere sul piano terreno la crisi che nel cordoglio sta come rischio, e se non avesse assorbito e trasfigurato le tecniche pagane di controllo e di reintegrazione. Solo raggiungendo questo piano il modello mariano del dolore poteva trascinare i dolenti verso la nuova meta religiosa e culturale, e non importa se esso doveva affrontare tutti i rischi del compromesso, del sincretismo e del ritorno al passato. Qui sta il germe della profonda necessità storica degli sviluppi dram[...]

[...]del Teatro italiano, 1955, p. 685. Per il planctus Mariae è da vedere (oltre il Chambers, l’Ermini e Io Young già citati), E. Wechssler, Die romanische Marienklage, Halle. 1893, A. Schònbach, Ueber die Marien\lagen, Graz 1874, pp. 10 sgg., H. Thien, Ueber die englischen Marien\lagen, Kiel 1906, pp. 3 sgg. Si veda anche A. Lingfors, Contribution à la bibliographie des plaintes de la Vierge in « Revue des langues romanes », IIII, 1910, pp. 5860, e il lavoro mariologico di A. M. Lepicier, Mater dolorosa. Notes d’histoire, de liturgie et d’iconographie sur le culte de Notre Dame des Doleurs, 1948. A parte i planctus Mariae sarebbero da considerare nel quadro della trasposizione cristiana dell’antico lamento funebre rituale i planctus medievali destinati a pubblici personaggi, e talora composti da chierici. Almeno alcuni di essi erano destinati ad essere cantati in pubbliche manifestazioni di lutto, come si desume dalle melodie che li accompagnano e da alcuni luoghi dei testi: p. es. in un planctus per l’arcivescovo Fulco di Reims composto dal cano[...]



da Pietro Citati, Ideologia e verità in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]qualsiasi uomomassa sa fare. E molto più difficile riuscire a comprendere, invece, che di uominimassa non ne esiste nemmeno uno. Solamente un grande scrittore racchiude in sé tanto coraggio, una tale fantasia e ricchezza vitale. una così enorme comprensione, un disprezzo e un dominio di sé così assoluti, da poter ricominciare ogni mattina quest'esercizio di ironica ed ascetica finzione. Il grande scrittore é capace di sospendere, per un momento, il lavoro della propria intelligenza: si rifiuta di coordinare ed illuminare i rapporti che corrono fra le cose; per
IDEOLOGIA E VERITÀ 77
capire, rinuncia a capire. Si costringe a non guardare più lontano del proprio naso, tuffa i propri occhi da talpa nell'indifferente groviglio umano, rifiutando di andar oltre, di trarre conclusioni, di affermare verità. Seconda lo spirito di identificazione che lo spinge ad esplorare profondamente la realtà, non esistono mai due cose, al mondo, assolutamente simili fra di loro.
« Cosa è l'immaginazione — scriveva Berenson — se non il senso vivo e spontaneo di tu[...]

[...]ella prossima scomparsa della categoria sociale alla quale appartengo non riesco veramente a dolermi. Di fronte alle cose che stanno morendo il comportamento migliore e più morale rimane sempre, io credo, quello di aiutarle a morire. Questa scomparsa sembrerà dolorosa e penosa; certo brutale. Ma per tanti indugi, compiacenze, mezzi termini, luci indirette, che invece di aiutare intrigano e complicano la nostra vita, non vedo motivi di nostalgia. Il lavoro di mediazione di una società letteraria sopravvissuta a se stessa non serve, ormai, più a nessuno. Fra la società letteraria, com'è oggi, e la futura stirpe di robot commercializzati che ne hanno ereditato o ne erediteranno i compiti sui giornali o nelle case editrici, forse i più morali sono proprio que sti ultimi. Sanno di obbedire solamente alle leggi della produzione. Di solito non ostentano intenzioni o presunzioni letterarie. Sappiamo finalmente con chi trattare. Il mondo industriale sarà quanta si vuole brutale e impaziente, ma ammette di essere quello che è e non pretende giustificazi[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Il lavoro, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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